Di chi e’ la colpa, sua o dei suoi genitori? Questa domanda tutta legata alla famiglia ci fa’ capire ancora una volta tutta la distanza tra cio’ che Gesu’ compie e cio’ che non riescono a vedere quelli che non accetteranno mai le novita’ di Dio. Quante volte anche noi non vediamo in famiglia i miracoli dell’amore e ci fermiamo sempre a domandarci ma di chi e’ la colpa? E’ proprio vero Gesu’ apre gli occhi anche al cuore, facciamolo anche noi tra di noi.
Don Alberto
Lettura del Vangelo secondo Giovanni (9, 1-38b)
Domenica del Cieco
Leggi il brano del Vangelo e il commento di Giovanni pdf
IV di quaresima 2011ultima modifica: 2011-04-03T08:14:56+02:00da
Reposta per primo quest’articolo
alleghiamo qui di sotto un commento estratto dal notiziario “La Pieve” della Parrocchia di Sesto Fiorentino, fatto da don Silvano Nistri:
“Il cieco nato.
Dopo l’episodio della Samaritana la liturgia ci
propone una seconda catechesi battesimale dal
Vangelo di Giovanni: il cieco nato. L’episodio
narrato da Giovanni forse è lo stesso raccontato
da Marco nel cap. 8,22-26: ma qui abbiamo una
redazione dell’evangelista teologo e della sua
comunità, certamente più tarda, molto elaborata,
dove è proposto un vero cammino di fede e dove
si avvertono le tensioni che ormai esistono tra i
cristiani e la sinagoga giudaica che ha decretato la
loro espulsione. Lo scontro è sul riconoscimento
di Gesù Messia. I giudei di cui si parla qui nel
vangelo di Giovanni, più che il popolo giudaico,
sono tutti coloro per i quali l’ideologia è più importante
della verità. E purtroppo appartengono
ad ogni paese e ad ogni categoria. Il testo evangelico
presenta due itinerari diametralmente opposti;
uno va dalla cecità cioè dalle tenebre, alla luce.
L’altro va dalla presunzione di vedere, di essere
uomini di fede, alla cecità assoluta, attraverso
un indurimento progressivo e ostinato del cuore.
Il cristiano oggi è invitato a rivivere il suo battesimo.
In virtù del Battesimo è stato illuminato
da Cristo, luce del mondo, proprio come il cieco
nato dell’episodio evangelico. Se si legge con attenzione
il testo si ritrovano i riti del nostro battesimo.
Gesù fa del fango, cioè fa un gesto che richiama
l’atto di Dio quando crea l’uomo. Questo
fango è spalmato sugli occhi del cieco:
l’evangelista usa, per questa spalmatura, lo stesso
verbo greco ipocrìo = ungere sopra che nel rito
battesimale evoca l’unzione col crisma, quella
stesso che ritorna nella prima lettura della Messa
quando Samuele unge il capo del piccolo David.
Gesù, dopo avere spalmato di fanghiglia gli occhi
del cieco gli chiede: Va’ a lavarti… a Siloe. Siloe
– ci avverte l’evangelista – vuol dire Inviato: la
fontana dell’Inviato, il nome stesso di Gesù l’Inviato
del Padre. Ciò che viene chiesto all’uomo è
immergersi in Lui. Da questa immersione nasce
una vita nuova che porterà l’uomo alla fede: al riconoscimento
di Gesù come Signore.
Il processo dei farisei.
Sulla guarigione del cieco
è imbastito un vero e
proprio processo:
compaiono persone
diverse, anche ben
caratterizzate dal punto
di vista psicologico: i
vicini, più o meno
curiosi ma poco disposti
a compromettersi, ad
accettare la novità
dell’evento che si è compiuto, a riconoscere l’opera
di Dio: è lui o non è lui?; i genitori che hanno
paura e non riescono neanche a godersi la guarigione
del figlio; i farisei, più interessati alle dispute
ideologiche che alla persona del povero cieco.
La conclusione è una sola: negare l’evidenza,
percorrere un cammino alla rovescia, non verso la
luce ma verso la cecità assoluta, l’incredulità totale.
“Se foste cicchi non avreste alcun peccato; ma
siccome dite: “Noi vediamo” il vostro peccato rimane.”
I cieco nato è l’uomo che si avvicina a
Gesù in umiltà e autenticità: non ha pregiudizi, è
obbediente, fa tutto quello che gli viene chiesto
anche quando è per lui incomprensibile, non ha
sicurezze da difendere, si fida di Lui: è una persona
onesta, sta ai fatti, sa che prima era cieco e
che ora ci vede. A questa verità rimane fedele,
nonostante il progressivo isolamento che deve subire.
In ultimo si trova faccia a faccia con colui
che lo ha guarito: lo riconosce, fa il suo atto di fede
– credo, Signore – e lo adora.