Carlo Maria, vogliamo
la gioia della resurrezione
Leggi il nuovo numero della rubrica Kerigma II n° 5 pdf
ARTICOLO DI CARLO MARIA MARTINI
Kerigma II n° 5ultima modifica: 2011-04-25T21:54:00+02:00da
Reposta per primo quest’articolo
Carlo Maria, vogliamo
la gioia della resurrezione
Leggi il nuovo numero della rubrica Kerigma II n° 5 pdf
ARTICOLO DI CARLO MARIA MARTINI
Comments are closed.
Caro Paolo,
credo che le risposte alle tue domande sia nell’articolo stesso del Card. Carlo Maria Martini che qui allego per completezza alle tue osservazioni.
Buona Pasqua.
Giorgio
Il senso della Pasqua per chi non crede
Mentre il Natale suscita istintivamente immagine
di chi si slancia con gioia nella vita, la Pasqua è
collegata a rappresentazioni più complesse. È la
vicenda di una vita passata attraverso la sofferenza
e la morte, di un’esistenza ridonata a chi
l’aveva perduta. Perciò, se il Natale suscita un po’
in tutte le latitudini (anche presso i non cristiani e
i non credenti) un’atmosfera di letizia e quasi di
spensierata gaiezza, la Pasqua rimane un mistero
più nascosto e difficile. Ma tutta la nostra esistenza,
al di là di una facile retorica, si gioca prevalentemente
sul terreno dell’oscuro e del difficile.
Penso soprattutto, in questo momento, ai malati, a
coloro che soffrono sotto il peso di diagnosi infauste,
a coloro che non sanno a chi comunicare la
loro angoscia, e anche a tutti quelli per cui vale il
detto antico, icastico e quasi intraducibile, senectus
ipsa morbus, «la vecchiaia è per sua natura
una malattia». Penso insomma a tutti coloro che
sentono nella carne, nella psiche o nello spirito lo
stigma della debolezza e della fragilità umana: essi
sono probabilmente la maggioranza degli uomini
e delle donne di questo mondo. Per questo
vorrei che la Pasqua fosse sentita soprattutto come
un invito alla speranza anche per i sofferenti, per
le persone anziane, per tutti coloro che sono curvi
sotto i pesi della vita, per tutti gli esclusi dai circuiti
della cultura predominante, che è (ingannevolmente)
quella dello «star bene» come principio
assoluto. La domanda che mi faccio è: che cosa
dice oggi a me, anziano, un po’ debilitato nelle
forze, ormai in lista di chiamata per un passaggio
inevitabile, la Pasqua? E che cosa potrebbe dire
anche a chi non condivide la mia fede e la mia
speranza? Anzitutto la Pasqua mi dice che «le sofferenze
del momento presente non sono paragonabili
alla gloria futura che dovrà essere rivelata
in noi» (Rom 8,18). Queste sofferenze sono in
primo luogo quelle del Cristo nella sua Passione,
per le quali sarebbe difficile trovare una causa o
una ragione se non si guardasse oltre il muro della
morte. Ma ci sono anche tutte le sofferenze personali
o collettive che gravano sull’umanità, causate
o dalla cecità della natura o dalla cattiveria o negligenza
degli uomini.
Tutto questo richiede una grande tensione di speranza.
Perché, come dice ancora san Paolo, «nella
speranza noi siamo salvati. Ora, ciò che si spera,
se visto, non è più speranza» (Rom 8,24). Sperare
così può essere difficile, ma non vedo altra via di
uscita dai mali di questo mondo, a meno che non
si voglia nascondere il volto nella sabbia e non
voler vedere o pensare nulla. Più difficile è però
per me esprimere che cosa può dire la Pasqua a
chi non partecipa della mia fede ed è curvo sotto i
pesi della vita. In questo mi vengono in aiuto persone
che ho incontrato e in cui ho sentito come
una scaturigine misteriosa, che le aiuta a guardare
in faccia la sofferenza e la morte anche senza potersi
dare ragione di ciò che seguirà. Vedo così
che c’è dentro tutti noi qualcosa di quello che san
Paolo chiama «speranza contro ogni speranza»
(Rm 4,18), cioè una volontà e un coraggio di andare
avanti malgrado tutto, anche se non si è capito
il senso di quanto è avvenuto. È così che molti
uomini hanno dato prova di una capacità di ripresa
che ha del miracoloso. Si pensi a tutto quanto è
stato fatto con indomita energia dopo lo tsunami
del 26 dicembre 2004 o dopo l’inondazione di
New Orleans provocata dall’uragano Katrina
nell’agosto successivo. Si pensi alle energie di ricostruzione
che sorgono come dal nulla dopo la
tempesta delle guerre. Si pensi alle parole che la
ventottenne Etty Hillesum scrisse il 3 luglio 1942,
prima di essere portata a morire ad Auschwitz:
«Io guardavo in faccia la nostra distruzione imminente,
la nostra prevedibile miserabile fine, che si
manifestava già in molti momenti ordinari della
nostra vita quotidiana.
È questa possibilità che io ho incorporato nella
percezione della mia vita, senza sperimentare quale
conseguenza una diminuzione della mia vitalità.
La possibilità della morte è una presenza assoluta
nella mia vita, e a causa di ciò la mia vita ha acquistato
una nuova dimensione». Per queste cose
non ci si può affidare alla scienza, se non per
chiederle qualche strumento tecnico: al massimo
essa permette un debole prolungamento dei nostri
giorni. L’interrogativo è invece sul senso di quanto
sta avvenendo e più ancora sull’amore che è dato
di cogliere anche in simili frangenti. C’è qualcuno
che mi ama talmente da farmi sentire pieno
di vita persino nella debolezza, che mi dice «io
sono la vita, la vita per sempre». O almeno c’è
qualcuno al quale posso dedicare i miei giorni,
anche quando mi sembra che tutto sia perduto. È
così che la risurrezione entra nell’esperienza quotidiana
di tutti i sofferenti, in particolare dei malati
e degli anziani, dando loro la possibilità di produrre
ancora frutti abbondanti a dispetto delle forze
che vengono meno e della debolezza che li assale.
La vita nella Pasqua si mostra più forte della morte
ed è così che tutti ci auguriamo di coglierla.
Carlo Maria Martini
Ciao a tutti.
Dopo aver letto l’articolo di Martini, che trovo assolutamente vero da un punto di vista sia umano che cristiano, devo dire che non riesco a comprendere la lettura di Paolo. Mi incuriosisce in effetti il capire come le stesse parole possano essere colte in maniera cosi’ differente. Non riesco ad evitare un pensiero provocatorio: le divergenze tra Martini e CL (d’altronde ricordate da Paolo stesso) possono essere causa di un po’ di pregiudizio? (Paolo non me ne volere, e’ che questa cosa la colgo ogni volta che un aderente a CL parla di Martini)
Sara
Dopo un periodo di completa assenza dal blog mi ritrovo a leggere l’ultimo Kerigma di Paolo e mi trovo completamente d’accordo con Sara nel dire che Paolo ha frainteso completamente quanto scritto da Mons.Carlo Maria Martini.
Mi spiace, inoltre, notare come nell’articolo di Paolo di voglia quasi far passare il messaggio che il nostro caro ex arcivescono abbia sempre pensato più ai non credenti che ai gruppi di CL o Neocatecumenali…
Ho partecipato sempre molto volentieri ai suoi incontri, sia la cattedra dei non credenti che alle bellessime catechesi dei periodi forti, sia alla scuola della parola per giovani che agli incontri per catechisti, e mai ho immaginato che il suo messaggio potesse diventare quello scritto da Paolo.
Concludo solo con il messaggio che secondo me sintetizza il messaggio di speranza scritto sull’Avvenire:
“C’è qualcuno che mi ama talmente da farmi sentire pieno di vita persino nella debolezza, che mi dice «io sono la vita, la vita per sempre». ”
Maria Paola
Cara Sara, quello che dici non mi offende, ma è sbagliato: non è che io mi sento escluso e quindi mi indispettisco, è proprio erroneo il fatto di rivolgersi “a quelli che non credono”, come se esistesse un messaggio fatto apposta per loro. Il messaggio è assoluto e Carlo Maria lo “relativizza” nello sforzo di andare incontro agli interlocutori: ma noi sappiamo che è lo Spirito che agisce e non noi, è la Parola di Dio ad avere questo potere creativo di conversione (anche se Carlo Maria è ispirato e sapiente, come ricorda M. Paola). Le Lodi di oggi danno una parola che sembra fatta apposta per noi, Romani 10,10: “con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza”: la professione di fede è l’annuncio puro e semplice “Gesù Cristo è il Signore” fatto con la nostra bocca e quindi sulla nostra infinita debolezza. L’annuncio è assoluto perché assoluto è il potere di Gesù sulla morte, con Lui la sofferenza conduce alla “vita nuova”, la croce diventa gloriosa e la nostra fede non è vana. Se avete trovato questo nell’articolo di Carlo Maria e nei suoi insegnamenti, io ne sono felice per voi, perché dimostra che “Cristo è tutto in tutti”. Questo è l’importante! Solo il Suo amore, che vince la morte, tiene insieme le nostre famiglie e le nostre parrocchie. (Fra parentesi, io sono del Cammino, non di CL).
Caro Paolo, dopo la tua replica a quanto scritto da Sara e dalla sottoscritta mi sento di precisare alcune cose:
– tu scrivi…”è proprio erroneo il fatto di rivolgersi “a quelli che non credono”, come se esistesse un messaggio fatto apposta per loro.” Non mi sembra che Carlo Maria Martini abbia reso relativo, quasi ad personam, come scrivi tu, il messaggio; lui ha semplicemente cercato di avvicinare quelli che non credono al messaggio di Cristo.
A questo punto, senza polemica, mi chiedo se hai partecipato a qualche “Cattedra dei non credenti” perchè non riesco a capire la questa tua posizione. E’ come se te la prendessi con il tg che propone anche le notizie per non udenti perchè infastidisce la vista: il messaggio è il medesimo sia per chi sente che per chi non sente (scusa l’esempio banale), ma “adattato al sentire di ciascuno”.
Lui ha semplicemente riportato la fatica di credenti e non ad accettare le fatiche quotidiane, le nostre croci, anche per chi vive con la consapevolezza, la speranza e la fede che Gesù è con noi.
Gli scritti di Carlo Maria Martini sono sempre stati aperti a tutti, ha sempre cercato di portare a TUTTI il messaggio senza preclusioni, perchè il messaggio è per TUTTI.I discepoli sono i prescelti che devono, grazie allo Spirito, riportare a tutti il messaggio.
Nel libro “Il sentire comune” Carlo Maria Martini scrive in merito alla Pasqua…
“Ci vogliono per ogni uomo o donna, alternati al periodo del lavoro, tempi di riposo e anche di silenzio, per custodire e far operare quanto di più profondo c’è in noi. La settimana santa e la celebrazione della Pasqua sono da sempre un fascio di luce gettato sulla quotidianeità. La rinforzano, la sostengono, le danno speranza.”
e ancora …”Gesù ha detto che ogni più piccolo aiuto prestato al fratello è fatto a Lui (mt 25,40). E uno dei primi testimoni del Vangelo, sant’Ignazio vescono e martire, afferma:”E’ meglio essere cristiano senza dirlo, che proclamarlo senza esserlo”.
e ancora in merito alle polemiche sull’esposizione del crocifisso…
“Nel caso concreto bisogna anche tenere conto delle tradizioni e della sensibilità della gente. Chi viene dal di fuori deve imparare a rispettare tutto ciò.Perciò capisco bene quanti si sono opposti a tale cambiamento, che sarebbe incongruo e inopportuno. Nè vale il paragone con il dialogo tra le religioni, qui equivocato. Tale dialogo presuppone certamente una sincera stima per le credenze e le tradizioni degli altri.Esso è preoccupanto in prima battuta anzitutto di rimuovere gli equivoci, con cui a volte ci fraintendiamo. Ciò non richiede affatto di mettere tra parentesi le proprie credenze”
Chiedo scusa a tutti se vi ho tediato, ma non posso pensare che passi il messaggio che il Cardinale Carlo Maria Martini abbia relativizzato il messaggio di Gesù…
Buona notte
Maria Paola
Maria Paola,
concordo completamente con le tue osservazioni e grazie delle tue articolate osservazioni.
ciao
giorgio